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Vigevano

Vigevano
I Tesori nascosti dell'Archivio

Anche l’Archivio ha il suo tesoretto

Con il termine “numismatica” si intende lo studio scientifico della moneta, delle sue varie evoluzioni nel corso del tempo e dei precedenti mezzi di pagamento pre-monetari.

Ora parleremo della collezione numismatica conservata presso l’archivio storico di Vigevano, facente parte del materiale proveniente dal vecchio museo civico inaugurato da Luigi Barni negli anni ‘50 presso Palazzo Crespi e da molti anni finita nel dimenticatoio.

Si tratta di poco più di 150 monete antiche, di cui la maggior parte sono di età imperiale romana.
Si compone quasi esclusivamente di monete in bronzo o rame e circa la metà sono “follis” di età costantiniana: queste sono monetine in bronzo del peso di circa 10gr e introdotte da Costantino con la riforma monetale agli inizi del IV sec. d.C e poi coniate anche dai suoi successori.
Si tratta di monete molto comuni e di basso valore come i nostri ramini di Euro.
Tra le monete romane della collezione la più antica è di età repubblicana e risale al periodo delle guerre puniche, intorno al III secolo a.C.; la nuova potenza marittima di Roma viene celebrata rappresentando sul verso delle monete i rostri delle navi nemiche esposte nel Foro.
Presenti nella collezione sono anche diversi assi della dinastia Giulio-Claudia.
Nel III d.C. vennero create diverse zecche in giro per l’impero, tra cui una a Ticinum (Pavia) e nella collezione sono presenti delle monete di Claudio il Gotico battute proprio nella zecca pavese.
Interessanti e numerosi sono anche i Follis di III d.C. che presentano sul verso la lupa che allatta i gemelli; tale immagine viene adottata da diversi imperatori in corrispondenza di una crisi dei valori dell’impero tale da richiedere un ritorno a simboli forti della romanità.

Piccole curiosità.

Non tutti forse sanno del significato del nome “moneta” che dal verbo latino “monere” ovvero “avvertire/ammonire” e della storia da cui nasce con protagoniste le oche sacre del Campidoglio a Roma.

Fu durante un tentativo di assedio da parte dei Galli che le oche presero a starnazzare e svegliarono i guardiani, i quali prontamente diedero l’allarme e l’attacco fu sventato.

Dato l’accaduto la dea Giunone acquisì l’appellativo di “Moneta”, in quanto si credette che fu grazie alla divinità che ridestò le oche per avvertire dell’arrivo dei Galli che l’attacco venne prontamente fermato in tempo.

Ed è proprio in prossimità del tempio di Giunone Moneta sul Campidoglio che venne edificata la “zecca” (dall’arabo “sikka”), collocata proprio per la protezione della Dea Moneta e grazie al linguaggio popolare questo appellativo passò ad indicare dapprima la zecca e poi ciò che li si produceva.

Erano molto diffuse le zecche in età imperiale romana, utilizzate soprattutto per scopi di propaganda, ovvero l’unico modo per informare la popolazione di un nuovo imperatore coniando monete con il suo ritratto.

Anche imperatori che hanno governato per un breve tempo si assicuravano di emettere delle nuove monete con il proprio ritratto inciso sopra, testimoniando così il proprio passaggio nella storia di Roma.

Nella foto possiamo osservare (da sinistra a destra) alcune monete con ritratto di Augusto, Diocleziano (della zecca di Pavia “Ticinum”) e Settimio Severo.

Rubrica curata dall’Archivio Storico di Vigevano

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