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Vigevano

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I Tesori nascosti dell'Archivio

Il Carnevale di Vigevano a inizio secolo scorso

È nuovamente giunto, come ogni anno, l’appuntamento con la goliardica e entusiasmante festa del Carnevale; tutte le città italiane, come da tradizione, si preparano al suo arrivo e Vigevano, dal canto suo, non è da meno. La città ducale resta in attesa di accogliere sfilate di carri e maschere per le sue vie del centro storico.

Ma come veniva festeggiato il Carnevale un tempo? Era sentita l’attesa per i suoi festeggiamenti?

Attraverso giornali locali, manifesti e pubblicazioni è stato possibile immaginarci come questa ricorrenza fosse vissuta dai vigevanesi tra la fine del XIX secolo e il periodo antecedente alla prima Grande Guerra.

L’artista e professore Luigi Barni, celebre storico vigevanese, descrisse nel suo “Vigesimum” (una raccolta di articoli contenenti ricerche storiche, artistiche e archeologiche della città, pubblicato nel 1951) quelli che erano stati gli ultimi Carnevali sul finire dell’Ottocento a cui aveva preso parte. Lo scrittore ricorda l’entusiasmo per le vie del centro tra persone in maschera e carri addobbati, e così scriveva: “[…]  i più attraenti erano i carri simbolici, tutti riccamente allestiti, i quali, se non erano al pari del Carnevalone di Milano, al loro fianco avrebbero fatto ottima figura”.

Nel suo articolo ricorda con ammirazione il carro rappresentante lo stivale italico, così grande che con fatica riuscì a passare sotto l’arco del Portone, e i carri simboleggianti il mulino a vento e una grossa gabbia di uccelli. Il raduno di maschere e carri avveniva in Largo San Bernardo (Corso Garibaldi) portandosi fino alla Fiera, procedeva poi lungo Porta Nuova (attuale Corso delle Repubblica) , scendeva lungo la Via Strata (Via Cairoli) e attraversando il Portone giungeva in Piazza.

La partecipazione delle persone era molto appassionata, solitamente venivano premiate le migliori maschere e addirittura nel 1905 era stato indetto un premio per il miglior balcone addobbato. I veglioni erano però il momento più atteso dell’intero Carnevale: solitamente venivano organizzati al Civico Teatro, oggi conosciuto come Teatro Cagnoni, o al “teatar vecc” (un tempo Teatro Galimberti e poi Colli Tibaldi).

Rocco Capè dice: “ se chiedete ad un vecchio vigevanese come si svolgevano i carnevali al teatar vecc, vedrete riaffiorare il lontano insopprimibile ricordo della “pila”.

Le persone che si riversavano a ballare erano così numerose da non potersi muovere se non con difficoltà, simulando movimenti simili alle antiche pile di riso.

Si può dire che i Carnevali di inizio secolo scorso fossero “travolgenti” e che fossero di richiamo anche per chi non viveva in città. Nel 1905 un solenne proclama aveva rivolto l’invito anche ai vicini piemontesi e alle zone circostanti. Proprio quell’anno si decise di impiantare in Fiera i cosiddetti balli pubblici, sistemati sotto grandi tendoni come quelli del circo e dotati di una solida pedana di legno; attirarono molte persone, soprattutto i giovani.

Musica, fiori e battaglie di coriandoli accompagnavano le sfilate delle mascherate a piedi, a cavallo e dei carri. In Piazza Ducale erano previsti divertimenti: dalla “primitiva” cuccagna alla corsa con le rane e col sacco.

Il Carnevale nel corso degli anni divenne un evento atteso che richiamava la stampa dell’epoca divenendo così un evento mondano. Nelle case patrizie si tenevano feste eleganti e le signore dell’epoca sfoggiavano i loro migliori abiti. Avvicinandosi al 1915, con lo scoppio della Grande Guerra, i Carnevali pur non perdendo il proprio fascino in virtù del mantenimento dell’ordine pubblico subirono l’applicazione di diversi divieti, seppure la tradizione di “euforia e sfrenata allegria” si mantenne all’insegna di “Semel in anno licet insanire” ovvero “Una volta all’anno è lecito ammattire!”.

In questo periodo infatti verrà vietato l’uso dei famigerati coriandoli di gesso, che erano appunto piccole palline di gesso che potevano recar danno alle persone.  Nel 1913 sempre per contenere gli eccessi venne stabilito l’orario di chiusura degli esercizi alle ore 23 dato che nel corso del tempo furono numerosi i reclami della popolazione contro il triste spettacolo degli ubriachi e degli abusi di alcolici. In occasione di questa ordinanza si scoprì che gli esercizi per la vendita del vino erano 300, Rocco Capè scrive: “[…] uno ogni cento abitanti!”.

Negli anni della Guerra, dal 1916 al 1920, vennero mantenute le rigide restrizioni che disponevano il divieto di uso delle maschere e revocate le licenze per i balli pubblici. Quelli della Guerra furono anni duri.

Si dovette attendere il 1922 prima che il Carnevale tornasse ai vecchi albori, anche se con fatica.

 

Bibliografia

“Vigesimum” Luigi Barni

“Breve storia dei carnevali vigevanesi dalla fine secolo alla seconda Guerra Mondiale” Bruna Rocco Capè

 

Rubrica curata dall’Archivio Storico di Vigevano

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